Lo ammetto. Per me non è mai stato facile collocarmi, riconoscermi in
toto, non dico in un partito, ma nemmeno in una precostituita corrente
politica. Anche solo definirmi, secondo i tradizionali canoni, di destra o di
sinistra, ma neanche di centro. Certo, è inevitabile schematizzare, mediare,
definire delle aree, altrimenti sarebbe pura anarchia, ma ho sempre creduto che
ragionare in proprio sia qualcosa in più di un mero contributo da apportare ad
una corrente ispiratrice. E troppo spesso le correnti tendono a soffocare il
pensiero individuale.
E oggi le cose si complicano: riconoscersi in un partito è diventata
l’impresa più ardua. Nel panorama italiano l’indegna scelta deve fare i conti
con uno scenario popolato da una fittizia
destra liberale, un’altrettanto
contraffatta e caotica sinistra socialdemocratica, più qualche
altro partitino satellite che vive all’ombra delle forze maggiori e s’ispira
alla loro inadeguatezza. Comune denominatore, il consociativismo. Ultimo
attore: un grossolano movimento di arroganti
sprovveduti, figli dell’antipolitica tanto in auge, il cui fine ultimo e
misterioso dei loro “ispiratori” sembra sopito o che si sia perso strada
facendo.