venerdì 12 luglio 2013

Rimanere nell’Euro

Leggo e sento spesso parlare con estrema leggerezza di un’uscita dell’Italia dall’Euro come panacea di tutti i mali derivanti dalla crisi economica che perdura. Di norma chi lo sostiene è gente che crede che dissertare di economia sia come discutere di calciomercato; ma nella folta schiera di detrattori troviamo anche qualche sedicente pseudo-economista, che in questo modo riesce a far parlar di sé, e pure qualche spregiudicato finanziere, che in passato ha fatto fortuna giocando contro le regole e, non so quanto in buona fede, crede che le formule che l’hanno reso ricco si possano applicare a tutta la finanza e la macroeconomia: costoro sono i “teorici” citati a supporto delle tesi di chi tifa, perché di puro irrazionale tifo si tratta, per l’abbandono della moneta unica.

Di solito sono due le argomentazioni a sostegno dei denigratori dell’Euro:
  1. l’introduzione della moneta unica ha comportato un dimezzamento del potere d’acquisto;
  2. se tornassimo alla valuta nazionale (lira o altro), l’Italia potrebbe usare la conseguente netta svalutazione per ridare competitività alle esportazioni.
Argomentazioni facilmente confutabili:
  1. il dimezzamento del potere d’acquisto, coinciso con l’introduzione della moneta unica, è un fenomeno che si è verificato solo in Italia, ed è semplicemente dipeso dall’assenza di una rete di controlli che impedisse la speculazione selvaggia del commerciante e del piccolo imprenditore che ha applicato la facile equazione 1 lira = 1 euro, invece di operare una corretta conversione dei prezzi che era di 2:1 circa;
  2. certamente tornando alla lira l’Italia potrebbe far leva sulla svalutazione per favorire le esportazioni, come ha sempre fatto fino agli anni ’90, ma la drammatica perdita di potere d’acquisto che ne deriverebbe sul mercato interno genererebbe una perdita di ricchezza molto superiore e porterebbe il nostro fragile sistema economico, già molto provato dalla crisi, al collasso definitivo. Inoltre, è storicamente provato che la svalutazione è un vantaggio solo transitorio per le esportazioni, col tempo si dissolve e servono altri stimoli per sostenere un mercato che ritorna asfittico, perché incapace di acquisire altri vantaggi competitivi.
Perciò le cose stanno ben diversamente, come ben sanno e attestano tutti coloro che operano realmente ogni giorno in campo economico, finanziario, imprenditoriale: l’Euro, pur avendo comportato sacrifici e imposto il rispetto di alcune regole rigide, rimane comunque l’opzione migliore, specialmente per un paese economicamente fragile come l’Italia.
Dopo aver tagliato lo storico traguardo della moneta unica nel 2002, sono immani i benefici che l’Euro ha comportato; solo per citarne qualcuno di immediata comprensione:
  • i benefici diretti sugli scambi, quali la semplificazione delle transazioni e l’eliminazione delle fluttuazioni di cambio;
  • i vantaggi finanziari di cui hanno goduto privati e imprese, basti pensare al contenimento dei tassi d’interesse sui mutui, grazie all’introduzione di parametri tendenzialmente stabili quali l’Euribor e l’IRS;
  • il contenimento dell’inflazione, grazie alle politiche unitarie e l’assenza di svalutazioni;
  • la creazione di una valuta di riferimento in ambito extraeuropeo, competitiva nei confronti del Dollaro Usa sul mercato delle materie prime (si pensi al petrolio o al grano).
Se tutto questo non basta, proviamo a immaginare cosa ne sarebbe stato della nostra liretta in questi anni di tempesta, prima finanziaria e poi economica, nello spietato contesto mondiale.

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