Lo ammetto. Per me non è mai stato facile collocarmi, riconoscermi in
toto, non dico in un partito, ma nemmeno in una precostituita corrente
politica. Anche solo definirmi, secondo i tradizionali canoni, di destra o di
sinistra, ma neanche di centro. Certo, è inevitabile schematizzare, mediare,
definire delle aree, altrimenti sarebbe pura anarchia, ma ho sempre creduto che
ragionare in proprio sia qualcosa in più di un mero contributo da apportare ad
una corrente ispiratrice. E troppo spesso le correnti tendono a soffocare il
pensiero individuale.
E oggi le cose si complicano: riconoscersi in un partito è diventata
l’impresa più ardua. Nel panorama italiano l’indegna scelta deve fare i conti
con uno scenario popolato da una fittizia
destra liberale, un’altrettanto
contraffatta e caotica sinistra socialdemocratica, più qualche
altro partitino satellite che vive all’ombra delle forze maggiori e s’ispira
alla loro inadeguatezza. Comune denominatore, il consociativismo. Ultimo
attore: un grossolano movimento di arroganti
sprovveduti, figli dell’antipolitica tanto in auge, il cui fine ultimo e
misterioso dei loro “ispiratori” sembra sopito o che si sia perso strada
facendo.
L’unica risposta certa che sappiamo dare a questo panorama deturpato è prenderne le distanze. E invece schierarsi è anche atto di coraggio, di responsabilità, un modo per mettersi in gioco, per metterci la faccia e non mescolarsi ai qualunquisti. Comunque, un’impresa ardua e di per sé non remunerativa, quindi coraggiosa. E, oggi più che mai, necessaria per sconfiggere lo stallo in cui ci troviamo.
Sono sicuro che c’è ancora chi è spinto dalla passione e dalla voglia di
fare qualcosa di buono, prima che dal tornaconto personale, indipendentemente
dagli orientamenti politici. Costoro possono rappresentare il riscatto della
politica, ma rimangono lontani dai riflettori, non sono valorizzati, magari
proprio perché il vantaggio personale non è il loro principale obiettivo e
quindi questo sistema non dà loro visibilità.
E allora come fare perché emergano?
Secondo me tutto deve ripartire da noi, cittadini ed elettori.
Anzitutto, senza farci sconti, dobbiamo fare autocritica. Se i politici
sono mediocri è perché i loro elettori sono mediocri: elettori storditi dalla
mediocrità instillata in piccole dosi quotidiane, certo, ma chi instilla trova
terreno fertile in un contesto carente di meritocrazia, medio-bassa scolarità,
amoralità e illegalità diffuse; elettori anche complici di un sistema che
formalmente stigmatizzano, ma al quale di fatto non sanno dare risposte
efficaci, perché si adeguano o, al contrario, si disinteressano e poi cercano
facili, estemporanee scorciatoie di protesta. In tutti i casi, ignorando come
selezionare ed eleggere i più virtuosi, onesti e competenti e preferendo
considerare tutta la politica come un unico magma indistinto.
In una democrazia come la nostra, seppur con tutte le storture del caso,
siamo i primi responsabili del sistema. Impossibile che una politica virtuosa
riparta senza ripartire da questa presa di coscienza.
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