mercoledì 24 luglio 2013

L’utilità dello spread

Da un paio d’anni a questa parte c’è una parola che, da termine tecnico per addetti ai lavori, è entrata a far parte del lessico comune, per definire uno dei parametri utilizzati come “termometro” della crisi finanziaria ed economica: lo spread.
In questo scenario ne sentiremo ancora parlare spesso, quale componente critica nella determinazione della spesa pubblica e dei costi dei finanziamenti ai privati. Nonostante ciò, molti – anche politici, rappresentanti istituzionali, imprenditori, media – lo citano a sproposito o ne minimizzano la portata, ne parlano in maniera approssimativa ed esclusivamente in riferimento al tasso d’interesse su titoli di stato a 10 anni.
Cerchiamo dunque di chiarirne il semplice concetto, senza addentrarci in un ambito troppo tecnico.

Quando si parla di “spread” ci si riferisce a una differenza (differenziale), intesa come quantità che misura la distanza tra due valori. Nei casi che esaminiamo questa differenza è dovuta alla differente percezione del rischio, da parte di chi compra – e quindi presta il proprio capitale – in relazione alle probabilità di vedersi restituire il capitale coi relativi interessi alle scadenze prefissate, in due contesti analoghi. In altre parole, chi compra titoli, e quindi presta il capitale, pretende un tasso d’interesse proporzionale a quanto pensa di rischiare: in una situazione più rischiosa pretende una remunerazione maggiore rispetto ad uno scenario meno rischioso. La maggior quantità di remunerazione tra questi due contesti è lo spread.
Parlando di titoli di stato, per esemplificare, con lo spread si identifica la differenza tra i tassi d’interesse (che lo Stato emittente riconosce per farsi prestare capitale) applicati a due titoli diversi. Convenzionalmente sono presi a riferimento i titoli di Stato tedeschi, che il mercato ritiene i più affidabili per antonomasia, e da questi si misura la differenza tra il tasso d’interesse applicato a un loro titolo e quello applicato a un titolo paragonabile, per tipo e scadenza, emesso da un altro Stato, per esempio l’Italia.
Ad esempio, possiamo raffrontare la differenza tra tassi d’interesse di un titolo di stato tedesco e un titolo di stato italiano, che chiamiamo, appunto, spread:

Tassi e
scadenze
Titolo tedesco
(es. Bund)
Titolo italiano
(es. BOT o BTP)
Differenza
(Bund) – (BOT o BTP)
= spread
Tasso d’interesse in % con scadenza a 2 anni
0,10
1,60
1,50
Tasso d’interesse in % con scadenza a 5 anni
0,60
3,30
2,70
Tasso d’interesse in % con scadenza a 10 anni
1,60
4,40
2,80

In questo caso lo spread è ciò che l’Italia deve pagare in più di interessi per collocare i suoi titoli, cioè per farsi prestare soldi, rispetto alla Germania. Perciò, in qualche modo, è un indicatore di quanta fiducia i prestatori nutrono nei confronti di ogni stato emittente.
Come si può notare, lo spread tra i due titoli, raffigurato nell’ultima colonna a destra, è sempre piuttosto accentuato (segno di elevata differenza di percezione del rischio tra i tue titoli) e, normalmente, aumenta all’aumentare della durata del titolo (nell’esempio 150, 270, 280). Esistono situazioni eccezionali (in presenza di condizioni estremamente critiche) in cui la scadenza a breve risulta avere uno spread più elevato rispetto a quella a lungo periodo, segno che il mercato ritiene che la situazione a breve sia quella più rischiosa: in Italia successe a novembre 2011, quando lo spread a 10 anni si spinse fino a 575 punti, mentre sui titoli a 2 anni oltrepassò quota 700.
Naturalmente ciò ha riflessi diretti sul sistema bancario, sia direttamente sui tassi che le banche applicano alle imprese e ai privati, sia per il fatto che le banche detengono un’ampia quota di titoli di stato di diversa provenienza: se questi di colpo vengono considerati molto più rischiosi, anche le posizioni delle banche detentrici viene considerata più a rischio.
Non mi dilungo ulteriormente, perché qui la priorità è chiarire il concetto, ma quanto descritto è già sufficiente per concludere che lo spread costa alle imprese e ai privati quanto allo Stato italiano, col suo abnorme debito pubblico. E perciò ci costa molto e ci costa due volte: eppure c’è ancora chi ha il coraggio di affermare che non importa se lo spread sale o scende.

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