Ancora una volta torna d’attualità il tema della soppressione delle
Province e, sono sicuro, anche questa volta non sarà così semplice procedere
verso la loro abolizione.
Da quarant'anni si parla di cancellarle o ridurle più o meno
sensibilmente, ma la storia ha proceduto in direzione opposta:
negli anni Settanta erano una novantina, e già si dibatteva sulla loro utilità, ma nulla di concreto si è mosso negli anni a venire. Anzi, con l’esplosione della spesa pubblica del ventennio successivo la questione è parsa trascurabile, tant’è che si è arrivati a contarne ben 103 nel 1993. E negli anni in cui pareva che il decentramento, i localismi, il federalismo fiscale, demaniale, il trionfo dei campanili, e la conseguente moltiplicazione di incarichi e poltrone, fossero la panacea di tutti i mali della pubblica amministrazione, ben ci si è guardati da prendere in seria considerazione la questione.
negli anni Settanta erano una novantina, e già si dibatteva sulla loro utilità, ma nulla di concreto si è mosso negli anni a venire. Anzi, con l’esplosione della spesa pubblica del ventennio successivo la questione è parsa trascurabile, tant’è che si è arrivati a contarne ben 103 nel 1993. E negli anni in cui pareva che il decentramento, i localismi, il federalismo fiscale, demaniale, il trionfo dei campanili, e la conseguente moltiplicazione di incarichi e poltrone, fossero la panacea di tutti i mali della pubblica amministrazione, ben ci si è guardati da prendere in seria considerazione la questione.
Intanto oggi, in tempi di revisione di spesa (Spending Review per gli
anglofili), le Province sono divenute 110, sebbene si sia tornato a parlare
prepotentemente della loro inutilità e di quanto si potrebbe risparmiare con la
loro soppressione. L’ultimo tentativo risale al 2012, quando l’allora governo
pensò maldestramente di accorparne un buon numero per decreto legge. Dico
“maldestramente” perché il pasticcio fu duplice: pensare di accorparle secondo
parametri opinabili, invece di abolirle semplicemente tutte, pensavano fosse
l’unico modo per evitare di intervenire sulla Costituzione, che invece le
prevede. Naturalmente la questione non era così semplice, ed
altrettanto ovviamente il quadro che ne derivava riusciva a scontentare tutti,
sia dal punto di vista pratico e logistico, poiché improbabili erano i risparmi
derivanti e confuso sarebbe stato il piano per la riattribuzione di competenze
e servizi, sia dal punto di vista territoriale, assistendo alla solita indegna
zuffa tra campanili, con province che volevano sopravvivere a tutti i costi e
città che si attribuivano insussistenti meriti per accaparrarsi il territorio
circostante e accentrarne le relative risorse. Uno spettacolo becero, la cui
unica utilità sarebbe stata, se qualcuno l’avesse mai fatto, di evidenziare
quali erano gli amministratori locali che se ne sono resi biechi protagonisti e
quali invece, indipendentemente dall’appartenenza politica, hanno cercato di
gestire con equilibrio e ponderazione quella che sembrava una fase cruciale, se
non conclusiva, dell’ente che amministravano. Ma, si sa, gli elettori hanno
scarso spirito critico ed ancor meno memoria.
Caduto il governo, la parte politica che non riteneva più conveniente
sostenerlo ha fatto ricorso contro detto decreto alla Corte costituzionale, che
ovviamente non poteva che censurare un iter nato goffo e pieno di compromessi e
uno strumento che certamente prestava il fianco a una moltitudine di rilievi.
Ora se ne riparla, con gli strumenti corretti – un ddl costituzionale
– e con l’obiettivo più equo ed efficace – la totale abolizione – ma occorre
preliminarmente affrontare una serie di problemi e di esigenze, in seguito a un
taglio che non può essere privo di alcune compensazioni. Ed è qui il punto
nevralgico di tutta l’operazione, perché se non si ridisegna correttamente
l’architettura delle istituzioni locali, si rischia di privarsi di servizi
essenziali oppure, al contrario, di mancare qualsiasi obiettivo importante di
risparmio e razionalizzazione di risorse.
Ad esempio, ancora non si sa come verrebbero ridistribuiti i servizi
che attualmente sono di competenza provinciale - trasporti, ambiente, edilizia
scolastica - e le relative risorse, peraltro sempre più esigue (come
conseguentemente sempre più scadenti sono i servizi erogati), né si sa come
verrebbero gestiti strutture e servizi “paralleli” (costosi e a volte
inefficienti, ma questo è un altro discorso) assolutamente necessari, quali
Questure, Prefetture, Tribunali.
Le Province hanno, poi, un altro ruolo essenziale, ma che non viene
adeguatamente soppesato quando si parla di abrogarle: costituiscono il
principale ambito di “intercessione” fra Regioni e Comuni, specialmente i più
piccoli, per i quali si tratta di un interlocutore essenziale, soprattutto nelle
Regioni più grandi.
Altro problema, da non trascurare nell’Italia dei campanili, è che le
Province non sono solamente ambiti amministrativi e di governo locale, ma sono
storicamente un riferimento dell'appartenenza territoriale per le persone.
L’unica strada per sopprimere le Province, e non ritrovarsi un “clone
istituzionale”, cioè un ente che, di fatto, ne prenda il posto (come già
qualcuno ventila parlando di ipotetiche macro-unioni di Comuni) è, oltre a
ridistribuire le competenze, rimpicciolire
l’ambito territoriale delle Regioni attuali più grandi. Più
precisamente le Regioni più grandi (che potrebbero essere Piemonte, Lombardia,
Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia,
Sardegna), che attualmente hanno superfici ragguardevoli e una conformazione
territoriale eterogenea, andrebbero divise amministrativamente in due parti, in
modo da avere un’amministrazione più snella e confacente al territorio e più
facilmente controllabile (si pensi ai capitoli di spesa relativi alla Sanità,
di gran lunga principale e necessaria fonte di spesa, ma anche di sprechi e
privilegi in ambito regionale), ma al contempo priva del pesante fardello delle
Province.
Contestualmente si potrebbe recuperare un’ingente quantità di risorse depotenziando le competenze delle
Regioni autonome, istituto
anacronistico e fonte di sprechi e privilegi ingiustificati, mantenendo solo
alcune prerogative di carattere amministrativo strettamente necessarie, dovute
alla particolare posizione geografica.
"...pesante fardello delle Province..."
RispondiEliminaPotrei sapere concretamente in cosa consiste questo pesante fardello? A quanto ammonta il risparmio dell'abolizione delle Province a parità di servizi erogati?
Quanto costerà il procedimento di abolizione? (liquidazioni, trasferimento beni, mutui e debiti, ecc...)
Gentile Lettore,
Eliminail risparmio derivante dall'abolizione delle Province a parità di servizi erogati non è un calcolo di facile attuazione, per svariati motivi. Anzitutto bisognerebbe sapere cosa considerare nel calcolo: la struttura politica ed amministrativa in senso lato, oppure ricomprendere anche servizi ed uffici vari, (quali Tribunali, Questure, ex Motorizzazione, ecc.) e le varie partecipazioni.
Ovviamente non mancano studi e statistiche in merito, anche da parte di soggetti istituzionali. Per esempio, si va da un risparmio calcolato di “soli” 500 milioni di Euro all’anno per la CGIA di Mestre ai 4,5 miliardi di Euro all’anno calcolati da uno studio di Confesercenti di qualche mese fa. Ma esistono calcoli con cifre ancora più distanti. Le differenze sono notevoli e dipendono ovviamente dalla base di calcolo e altre variabili, non ultima la partigianeria del committente: chi è a favore tende a massimizzare le cifre, chi è contro ovviamente evidenzierà minimi benefici. Inoltre occorre capire anche cosa intendiamo per “a parità di servizi”: pari qualità, quantità o dislocazione?
Sui costi di abolizione, ovviamente il discorso è analogo, ma se l’abolizione permette risparmi, i suoi costi si possono considerare un investimento.
Comunque il punto non è questo: al di là del mero risparmio economico, comunque rilevante, la soppressione delle Province dovrebbe andare in una direzione di snellimento della macchina burocratica pubblica, semplificazione dei rapporti col cittadino e aumento della qualità dei servizi. Anche per questo nell’articolo delineo l’ipotesi di una riforma delle Regioni, da attuare di concerto con la soppressione delle Province.
Cordiali saluti.